«Corpi straziati, bambini che urlano e fuggono nudi senza nemmeno sapere che direzione prendere, madri che portano al collo bimbi senza vita o con il corpo devastato da esplosioni, pallottole, dal crollo del tetto di un edificio o da chissà cos’altro. Il terrore è nei loro occhi che si specchiano con quelli dei padri, pieni di rabbia, disperazione e impotenza. Queste le immagini di un massacro al quale, ieri, il mondo ha assistito con orrore, e per il quale nessuno riesce a trovare una giustificazione possibile.»
Questa non è la cronaca di quello che è successo ieri in Ucraina, ma l’incipit di un articolo che scrissi in occasione della strage di Beslan del 3 settembre 2004. Ovviamente io non ero in Ossezia del Nord ma, pur seguendo la vicenda da Napoli attraverso le agenzie (ero caposervizio del quotidiano Napolipiù), quei fatti mi segnarono profondamente e non riesco a dimenticarli: per me hanno rappresentato la dimostrazione pratica dell’assurdità della “guerra”, mirabilmente descritta da Voltaire nel Dizionario filosofico.
Quell’episodio mi è tornato alla mente guardando le immagini dell’invasione russa dell’Ucraina. Ed è tornata alla mente anche a chi, come me, in quei giorni dovette decidere cosa pubblicare e cosa non pubblicare, il caporedattore del giornale, Enzo Colimoro, che stamattina mi ha telefonato per sapere se avevo ancora in archivio quelle pagine. Ed in effetti le conservo. In quei giorni, insieme al direttore Giorgio Gradogna, agli altri colleghi della redazione (in particolare al caposervizio di cronaca, Antonio Di Costanzo), discutemmo a lungo sull’opportunità, o meno, di pubblicare le foto dei bambini che piangevano terrorizzati, mentre scappavano nudi, feriti, morti dentro. Erano dei minori, è vero, e la deontologia ci diceva di non pubblicare. Ma, guardando quelle orribili immagini, ebbi l’impressione che difficilmente la loro pubblicazione in una città lontanissima come Napoli avrebbe potuto procurare a quei bimbi un danno ulteriore. Quindi insistei molto, e alla fine le mettemmo in pagina. Fu una scelta dolorosa, ma indispensabile. Non avrei saputo inventare nessuna parola più efficace di quegli occhi smarriti, di quei corpi martoriati per raccontare l’assurdità alla quale stavamo assistendo.
Immagini che conservo non solo in archivio, ma precise nella mente. Immagini che oggi non pubblicherò, se non in piccola parte, garantendo che quelle che ometto sono molto peggiori. Non avrebbero senso oggi. Ma forse potrebbe aver senso, purtroppo, nei prossimi giorni, mostrare al mondo che cos’è davvero la guerra, quali ne sono gli effetti reali sulle persone: le cartine con i carrarmati servono per giocare al Risiko non per scuotere coscienze.
Ma cosa successe in quei giorni? Il primo settembre, 32 terroristi (ceceni e islamici) sequestrarono circa 1.200 persone, soprattutto bambini, in una scuola di Beslan (città della regione del Caucaso appartenente alla Federazione Russa). Dopo trattative andate a vuoto, il 3 settembre, i russi entrano nella scuola con un’azione di forza: il bilancio fu di circa 330 morti, 186 dei quali bambini, ed oltre 700 feriti. Sul motivo per il quale i russi decisero il tragico blitz ci sono molte versioni contrastanti (un errore, un’esplosione improvvisa che fece temere per la vita degli ostaggi (provocata da chi?), informazioni sbagliate su quello che stava succedendo nella scuola). Sappiamo però chi diede l’ordine di entrare: fu Vladimir Putin, appena rieletto per la seconda volta presidente della Federazione russa con il 71% dei voti, un plebiscito.
32 terroristi ceceni e islamici sequestrarono 1.200 persone in una scuola, quasi tutti bambini. Dopo due giorni Putin ordinò il blitz: fu una strage
Non c’è dubbio che la responsabilità principale di quelle morti fu dei terroristi, tanto che a Putin e al popolo russo arrivarono le dovute condoglianze di tutti i capi di Stato e di Governo del mondo, ma possiamo affermare con altrettanta certezza (e la stampa internazionale lo fece all’epoca) che in nessuno stato democratico, ed in particolare in Italia, sarebbe mai stata accettata dall’opinione pubblica l’idea di un blitz in una scuola piena zeppa di bambini.
Quell’episodio mostrò al mondo la feroce e cinica determinazione di un autocrate che, negli anni seguenti, è stato quanto meno tollerato dall’Occidente e, da alcuni leader politici (da Trump in giù), addirittura additato come esempio di efficienza da seguire. Molti adulatori li ha avuti anche in Italia: è inutile farne i nomi, perché li conoscono tutti.
Questa sottovalutazione del “pericolo Putin” è figlia di una realpolitik di corto respiro che ha fatto dimenticare a tanti che l’interesse maggiore dell’Europa, la sua ragione fondativa, è la pace basata sull’unità dei popoli, quella pace e quell’unità che l’invasione dell’Ucraina rischia di far andare in frantumi.
Per vincere la guerra contro le autocrazie, quindi, più che i soldi e le armi (a volte, purtroppo, indispensabili) servono valori saldi, serve ricordarsi che le democrazie occidentali non sono un incidente della storia ma faticose conquiste che vanno difese innanzitutto da noi stessi, dai nostri troppi compromessi, dalla nostra cecità. L’antidoto al terrore è aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà, che già prorompeva dagli occhi di quei bambini di Beslan sui quali, invece, abbiamo abbassato lo sguardo.