Ho sempre avuto un rapporto difficile con la tecnologia. Un’ostilità innata. Una diffidenza. Mi definivo “ottocentesca”, con un misto di snobismo e superiorità. Mi piacciono i libri di carta e non il Kindle. Amo prendere un caffè con un’amica, invece di fare una videochiamata. Preferisco mille volte una telefonata di tre secondi, piuttosto che dire le stesse cose perdendo mezz’ora per scrivere un messaggio Whatsapp. Il computer, per me, è poco più di una macchina da scrivere.
Poi è arrivato il Covid con il lockdown e, nel giro di una settimana, ho dovuto fare un salto nell’iperspazio, sono piombata nel 2020 (per me 2220) e ho imparato in pochi giorni a fare videochiamate, a utilizzare il programma per la dad (didattica a distanza); ho persino creato un test per i miei studenti direttamente on line. Insomma, mi sono dovuta adeguare al mondo che mi circonda.
Il cambiamento è avvenuto così repentinamente che, un giorno (sciagurato) di due mesi fa, mi sono fatta convincere da mio figlio di 11 anni ad entrare nel magico mondo dei social…
Intendiamoci, mio figlio, che mi conosce bene, mi ha detto: «Mamma, penso che Instagram sia adatto a te: devi solo mettere qualche foto, se vuoi, e poi puoi guardare il mio profilo».
Mi è sembrato un buon compromesso: niente “pipponi” chilometrici da leggere, postati da qualcuno che ha sempre qualcosa su cui pontificare; niente litigi o battibecchi da dover sopportare (mi basta per questo la chat delle mamme); niente cinguettii da seguire, imbrigliati in un numero limitato di caratteri… solo foto. «Ok, facciamolo!» ho detto.
Risultato? Ho postato timidamente qualche immagine. Prima paesaggi. Poi qualche foto personale (mio figlio quando era più piccolo, un compleanno, il mare in movimento intorno a me). Ho 23 follower. Tutti amici (molti sono vecchi amici). E non ho nessuna voglia di cercarne altri.
Scorro le foto e spesso mi emoziono. A volte ho nostalgia per l’amica che non vedo da venti anni e che è ancora bellissima e senza una ruga. A volte ho un po’ di invidia guardando l’immagine di un luogo che magari non riuscirò a vedere mai per la mia paura di volare. In altri momenti mi intenerisco davanti alle foto degli amici di mio figlio, che mi sembrano improvvisamente grandissimi.
E poi ci sono i cuoricini… Questa storia dei cuoricini non l’ho presa bene: mica è cosa di poco conto?
Se metti il cuoricino, stai dicendo a qualcuno che ti piace quello che ti sta facendo vedere di sé. Perciò, se non metti il “tuo cuore”, quel qualcuno potrebbe dispiacersi, oppure offendersi. Ma, se metti il cuore a ciò che non ti piace, stai mentendo e stai mentendo a un tuo amico!
Questa storia dei cuoricini non l’ho presa bene. Se li metti a ciò che non ti piace, stai mentendo a un tuo amico
Eppure, vedo mio figlio che mette cuoricini a raffica. Vedo amici che distribuiscono “mi piace” come se piovesse, mentre chiacchierano amenamente a tavola con me un sabato sera al ristorante. Come fanno? Mi domando. E poi capisco l’unica e sola verità. Non c’è niente da fare: nonostante l’impegno, l’alfabetizzazione digitale a tappe forzate per il Covid e l’incoraggiamento di mio figlio, non sono riuscita a sconfiggere l’Ottocento che è in me.