Sono due anni che non scrivo (né ospito) un post sul mio blog. Mi sono chiesto il perché. Un po’ è nella natura stessa di ExPost, che ha come sottotitolo “meglio tardi che mai”, a immortalare la mia tendenza all’inerzia di cui mi sono fatto vanto nell’editoriale di avvio del maggio 2020, significativamente intitolato “Benvenuti in ExPost, il primo blog per veri pigri”. Un po’ perché, probabilmente, in questo mondo, nel suo modo di ragionare, proprio non mi ci ritrovo. Osservo, a volte anche con colpevole indifferenza, le immagini di guerra che trasmettono le televisioni, leggo i resoconti giornalistici, ammiro la sapienza dei numerosi esperti di geopolitica e strategia militare che si alternano nei talk show per regalarci informazioni e analisi sulle sorti dell’Ucraina e del Medio Oriente con una sicurezza che, sinceramente, invidio. Mi accorgo solo ora di vivere da troppo tempo in apnea, come se non volessi respirare l’aria che tira. Ma, per quanto mi sforzi di non inalarla, sono costretto a farlo, come tutti.
La verità è che io non capisco. Mi rendo conto di essere fuori dal mondo, in maniera ostinatamente inconsapevole. Fuori da quel mondo in cui gli Stati si fanno ancora guerra per un pezzo di terra, o per un credo religioso, o per un’ideologia (se ancora ne esiste una). Un mondo in cui, in maniera stanca, si confrontano eserciti che sembrano ignorare che a morire per queste zolle di terreno, per questi dei, per l’affermazione di astruse teorie politiche, siano persone, in carne ed ossa. E c’è una cosa che mi ha sempre colpito nel racconto che si fa delle guerre: è quando si dice che le vittime dei conflitti sono i più deboli, cioè le donne, i bambini e gli anziani. Come se dessimo per scontato che gli uomini, invece, possono morire, anzi che è giusto che muoiano, carne da macello dei governi. Come se non fossero anche loro padri, nonni o figli di qualcuno. Come se non fossero proprio loro le prime vittime, mandate al fronte a combattere, in tanti senza nemmeno sapere perché, magari senza odiare il proprio nemico, che però ammazzeranno senza pensarci due volte, temendo di essere ammazzati. Noi li chiamiamo uomini al fronte, con un’espressione che tradisce un’epica cinica e polverosa, ma spesso sono poco più che bambini. Come bambini sono quelli sotto le bombe di Gaza. Come lo sono stati, bambini, anche quelli che, una volta cresciuti e diventati terroristi, hanno progettato e messo in atto il pogrom del 7 ottobre 2023.
Ci raccontiamo che le vittime dei conflitti sono sempre i più deboli, cioè le donne, i bambini e gli anziani. Come se dessimo per scontato che gli uomini, invece, possono morire, anzi che è giusto che muoiano, carne da macello dei governi. Come se non fossero anche loro padri, nonni o figli di qualcuno.
Spesso si dice che nasciamo buoni ma il mondo ci incattivisce. Non lo so se è vero. Forse, invece, nasciamo cattivi, perché quando siamo bambini agiamo secondo i nostri istinti e diciamo sempre io, io, io, mio, mio, mio. Se i nostri genitori non ci educano alla socialità, quella cattiveria, crescendo, la trasformiamo in violenza. Nel corso dei secoli, fortunatamente, abbiamo imparato a regolare i rapporti con gli altri in maniera più civile. Sappiamo che è possibile convivere anche con persone che la pensano diversamente da noi, che magari odiamo, se utilizziamo la parola al posto delle armi, se rinunciamo a scannarci esercitando il convincimento e il dialogo. La cultura ci ha fatto diventare adulti, tolleranti e democratici.
Si dice che nasciamo buoni ma il mondo ci incattivisce. Forse, invece, nasciamo cattivi, perché quando siamo bambini diciamo sempre io, io, io, mio, mio, mio.
Dove la cultura manca, invece, impera la sopraffazione di bambini diventati vecchi ma mai cresciuti, che comandano eserciti come stessero giocando alla playstation, che organizzano attentati come fossero feste di paese, che decidono che le donne non devono studiare, guidare, far vedere la faccia, che si sentono padroni della terra in cui sono nati per puro caso e, quindi, in diritto di non far entrare quelli che gli stanno antipatici. Impera la follia di chi ritiene giusto, addirittura, rubare la terra degli altri in virtù di storielle mitologiche che si perdono nella notte dei tempi o presunte supremazie morali. E i nemici di questi despoti non hanno fucili e cannoni, non hanno missili e portaerei, hanno la penna, gli occhi, un obiettivo. I veri nemici sono l’informazione e, soprattutto, i libri, che spesso vengono messi al bando perché i tiranni sanno bene che lì è nascosta la formula segreta che farà diventare adulti i propri sudditi, i quali non saranno più disposti a seguirli quando gli sarà ordinato di andare in guerra nel nome di un falso dio, di un’ideologia sballata o per la conquista di una terra abitata da altra povera gente. Gli amici di questi oppressori, invece, sono i tifosi, dell’una e dell’altra parte, che sostengono le ragioni di chi combatte, inventando favolette per bambini in cui il mondo è popolato da buoni (i nostri) e cattivi (i loro). E può ben essere che uno dei contendenti abbia ragione e l’altro torto, oppure che abbia almeno più ragione dell’altro. Ma che importanza può avere per chi ha perso una figlia, un padre, un amico, un’intera famiglia? Che importanza può avere un pezzettino di terra per chi ha visto crollare il mondo che lo circonda?
Ma che importanza può avere per chi ha perso una figlia, un padre, un amico, un’intera famiglia? Che importanza può avere un pezzettino di terra per chi ha visto crollare il mondo che lo circonda?
Ecco qual è il mio problema: ho letto troppi libri e, quando ho di fronte una persona, penso che sia una persona, anche se mi sta antipatica, anche se mi odia, anche se non ha il colore della mia pelle, anche se dice cose che mi fanno rabbrividire. Seppure, per qualche secondo, mi viene voglia di strozzarla, cedendo a un istinto da bambino, mi ricordo di attaccare il cervello e ragionare, provo a dialogare, alzo la voce se non riesco a trattenermi e, se proprio non riesco a spiegarmi, taccio e me ne vado.
Ammetto che è facile parlare per chi sta seduto su un divano, annoiato, davanti alla tv. Cosa farei, mi chiedo, se bombardassero la mia casa? Forse anch’io imbraccerei un fucile e andrei ad ammazzare qualcuno per vendetta, per disperazione. Ma non vedo come eliminare un uomo possa rimettere in piedi la mia casa, restituirmi i miei cari, regalarni la serenità. Allora sto lì, davanti alla tv, indifferente perché spero, senza crederci, che si tratti di fiction. Mi convinco che al mondo non esistano sul serio persone che pensano ancora che sia possibile risolvere i problemi mandando il prossimo all’altro mondo, che in fin dei conti, per chi soffre davvero, potrebbe rivelarsi migliore di questo.