No, non intendo parlare del seme ricco di amidi e proteine, buono con un po’ di guanciale soffritto e, sì, mi riferisco proprio al fallo, per meglio dire al suo simbolo. Il titolo, per la verità, andrebbe riformulato così: il pisello (digitale) sulla lavagna (virtuale).
Prima devo spiegare cos’è successo.
Qualche giorno fa ero a casa a lavorare (anch’io forzatamente in smart working), quando mia moglie mi ha avvisato dell’accaduto. Durante una lezione (a distanza) nella classe (virtuale) di mio figlio era comparso sulla lavagna (telematica) un “pisello” (ovviamente digitale).
Nel giro di cinque minuti la maestra di turno – una delle quattro/cinque, perché ora funziona così, ma non è un male se non hai il maestro Perboni del libro Cuore – ha chiesto sulla chat delle mamme la convocazione di una riunione urgente dei genitori per discutere della comparsa del simbolo fallico sulla schermata di Zoom.
I temibili gruppi Whatsapp
Devo aprire una parentesi: la definizione di chat delle mamme non è mia e non la userei se la ritenessi un’espressione velatamente sessista.
La chat delle mamme è chiamata così anche se ci sono iscritti dei papà; dev’essere definita in questo modo per effetto di un dato statistico e cioè che sulla chat di Whatsapp (per ora non ho notizie di chat delle mamme su Telegram o su Signal) scrivono quasi esclusivamente le mamme. I papà vi sono inseriti forzatamente, nel caso di separazione, o per vendetta di altri papà («Ci hanno messo me, devi esserci anche tu!»), ma nella maggior parte dei casi si riconoscono per il loro silenzio o per le risposte, dense di significato, del tipo: sì, no, ok o l’emoticon con il pollice in alto…
Solitamente i papà silenziano le notifiche dopo l’arrivo dei primi dieci messaggi per nanosecondo e lo fanno con scuse bieche, quali: «Mi disturbano durante le riunioni, uso il telefono solo per lavoro» e simili. Non è vero nulla: non sono mai disturbati dalla notifica che annuncia l’arrivo dell’ultima foto di Belen.
Le chat delle mamme hanno nomi apparentemente innocui, come «Genitori 3A», ma non fatevi ingannare…
Per capire se una vostra amica o collega è iscritta alla chat delle mamme dovete solo attendere l’ora di uscita dei bambini da scuola. Se, dopo meno di cinque minuti, sul telefono della malcapitata arriva una scarica di messaggi pressoché uguali (del tipo: «Cosa si porta domani? Assegno, grazie! Niente matematica?») è entrata in azione la chat delle mamme. Di solito, commento questa raffica di quesiti ansiogeni dicendo (a me stesso, perché temo le reazioni in chat): «… e dategli il tempo di arrivare a casa a ’ste creature…».
Le chat delle mamme hanno nomi apparentemente innocui e poco fantasiosi, come «Genitori 3A» o, al massimo «Gruppone 5D», ma non fatevi ingannare: nascondono frotte di haters, psicopatici seriali e consumatori di ansiolitici.
Ma non divaghiamo.
Il processo telematico funziona (a scuola)
Insomma, non appena è arrivata la notifica di convocazione del processo telematico – quello di classe, perché nei tribunali tutto langue in attesa del vaccino contro il coronavirus – sono andato nella stanza accanto per capire il grado di “turbamento” di mio figlio. L’ho trovato praticamente svenuto sulla tastiera del computer. Sono stato sul punto di attivare un defibrillatore per rianimarlo, ma poi è comparsa una traccia di vita quando mi ha accolto con uno sbadiglio (metacomunicazione inequivocabile circa il grado di interesse provocato dall’argomento trattato a lezione) e l’espressione del viso che significa, più o meno: «papàchevuoiètuttokchepalle». In sintesi, non mi è sembrato per nulla segnato dall’accaduto.
Quindi, ho comunicato a mia moglie che non avrei partecipato alla riunione su Zoom con la maestra, per non essere costretto a dire ciò che penso, che poi è, più o meno, quello che sto scrivendo in queste righe.
Per farla breve, alle tredici in punto è iniziata la riunione, introdotta dalla maestra che sembrava Antonio Di Pietro nella requisitoria sul processo a Tangentopoli: una grande chiamata in correità di tutti gli alunni e dei loro già colpevoli genitori.
A questo punto le mamme (c’era anche un papà, ma come ho spiegato si tratta di presenza solitamente irrilevante) si sono divise in tre gruppi: quelle che ridevano sotto i baffi (e in tempo di pandemia, con i centri estetici chiusi, non è un modo di dire), quelle che accusavano l’ignoto colpevole di maleducazione (capirai che novità!) e infine quelle che, in un crescendo rossiniano, vedevano nel gesto incriminato le avvisaglie della prossima esplosione di una mente turbata, il primo delitto di un futuro stupratore seriale.
C’è anche una quarta categoria, ovviamente assente: quella delle mamme che non partecipano a questo genere di dibattiti, dicendo che sono al lavoro, hanno la riunione a scuola dell’altro figlio e scuse simili; di solito sono le più simpatiche.
Il “processo” è durato circa quarantacinque, interminabili, minuti.
Una chat dei papà verrebbe chiusa perché inutilizzata o per intervento della Buoncostume
Nel frattempo, io ho scambiato qualche messaggio con alcuni papà, messaggi individuali, in quanto non esiste una chat dei papà: verrebbe chiusa perché inutilizzata o, al contrario, per intervento della Buoncostume.
I papà, al massimo, possono organizzare un gruppo per andare alla partita e poi, per qualche giorno, approfittare dell’indirizzario per scambiarsi battute grevi e foto oscene.
Dallo scambio con i “colleghi” è emerso che, con la solita mancanza di fantasia, la pensiamo tutti allo stesso modo e cioè che in fondo un “pisello” sulla lavagna (seppur digitali, sia l’uno che l’altra) non ha mai provocato alcun danno e che se a dieci anni un bambino o una bambina ancora si sconvolge, delle due l’una: o ha un problema o è un grande attore.
È emersa anche un’interessante indagine statistica. Dai disegnatori di “piselli” sono venuti fuori scienziati che lavorano al Cern di Ginevra, economisti di fama mondiale, medici di Emergency… I più bravi, quelli che camuffavano il pisello dentro un viso da coniglio, con tanto di orecchie, oggi disegnano graphic novel che vendono milioni di copie…
Se mio figlio fa filone, non mi avvisate
Taglio corto. Non farei un dramma se sulla lavagna virtuale compare un “pisello” o qualche frase di troppo sulle abitudini sessuali dell’insegnante. La scoperta del sesso, l’arrivo della pubertà iniziano così e la scuola fa semplicemente la sua parte, quella di sempre… Crea l’occasione. Al di là dei tanti meriti che richiederebbero ben altre risorse e fiducia, la scuola è innanzitutto un “luogo”, dove si impara a conoscere se stessi e gli altri: è una società in miniatura. E io nella società temo gli ipocriti quanto (forse più de) i volgari.
Ma c’è un’ultima ragione che mi porta a essere così tollerante.
Accolgo in genere con entusiasmo le novità tecnologiche, ma alcune innovazioni che riguardano la scuola generano in me un’istintiva diffidenza.
Mi lasciano perplessi i diari elettronici: perché deresponsabilizzano. Non diventi autonomo se a casa c’è qualcuno che prende l’assegno per te
Mi lasciano perplesso i diari elettronici, perché deresponsabilizzano: se non hai preso bene l’assegno sono problemi tuoi e devi rischiare un brutto voto per la distrazione. Certo non aiuta a diventare autonomo se quando torni a casa c’è qualcuno che ha già la lista dei compiti.
Penso con fastidio al momento in cui, tra qualche anno, dal liceo mi arriverà un messaggio sul cellulare con il quale mi avvisano che il ragazzo ha fatto filone (ha marinato la scuola, per intenderci, perché pare che in ogni regione si dica in modo diverso). Mi terrorizza l’idea di potere, volendo, scoprire tramite un’applicazione gps se mio figlio sta pomiciando in riva al mare o è in piazza a giocare a pallone.
Crescere significa anche commettere errori, violare qualcuna delle tante regole dettate dagli adulti, ma soprattutto conquistare, un pezzo alla volta, un po’ di libertà. E un controllo costante e pervasivo non serve a far crescere più sicuri i nostri figli, ma solo a renderli meno attenti (tanto c’è chi controlla…) e più vulnerabili (tanto c’è sempre chi veglia su di me…).
Per concludere: ben venga un “pisello” alla lavagna se dietro quel disegno – ché è già triste debba essere digitale, disegnato da anonimi pixel, e non tracciato con “stile” personale strisciando un gessetto – dietro quel gesto di ribellione si nasconde una persona che dice la sua, semmai esprime noia ma, almeno, non sta zitto e fermo… a subire ogni lezione.