INVALSI o non INVALSI? Valsi o non valsi? Valida(re) o non validare? Sono validi o non sono validi? Ma che cosa è l’INVALSI?
I critici più feroci lo definiscono un “carrozzone” che pratica misurazioni senza alcun valore, anzi con un valore altamente negativo perché, pur ammettendo l’attendibilità della misurazione, nessun intervento concreto viene poi messo in atto per correggere le presunte storture del sistema.
Un po’ come misurare la pressione di una ruota sgonfia, ma che non può essere gonfiata semplicemente perché non c’è il gonfiatore, e non ci sono soldi per comprarlo.
Altro dato molto poco interessante sta nel ripetere ogni anno la litania dell’arretratezza del sud rispetto al nord. Elemento standard fornito al senso comune, al sud si studia meno che al nord. Per noi suddisti (con due d) la cosa non presenta alcuna novità, ne siamo a conoscenza dalla fine dell’Ottocento. Il nord è avanzato il sud è arretrato, il nord è la locomotiva d’Italia, il sud viene trascinato, ecc. ecc.
Ogni anno si ripete la litania dell’arretratezza del sud rispetto al nord, ma poi non seguono mai interventi correttivi concreti
Ma se si vogliono capire meglio i termini della questione bisogna leggere cosa scrive Max Bruschi sul suo profilo (ispettore di lungo corso, fino a poco tempo fa grande protagonista della macchina burocratica del ministero nell’era Azzolina): «Ritenevo essenziale, all’epoca, svolgere le prove, pur tra le mille difficoltà, perché rappresentano un polso della situazione, tanto più necessario a fronte della situazione pandemica e delle scelte che dovrebbero essere adottate: ero, e resto, fedele a Einaudi e al suo “conoscere per deliberare”».
Per loro questa è conoscenza, questa misurazione lasciata alla buona volontà dei docenti e al genio momentaneo degli studenti ha il valore di un rilevamento. Qui siamo difronte al sovvertimento del concetto di misurazione, cioè confronto di due grandezze omogenee (ossia dello stesso tipo, ad esempio due lunghezze) una delle quali è scelta come unità di misura.
Già qui la prima questione: ma cosa misuriamo con l’Invalsi? Conoscenze, abilità e competenze specifiche di ogni disciplina – ad oggi solo alcune del curricolo sono testate – e trasversali, ad esempio cittadinanza, consapevolezza ambientale, secondo i luminari dell’istituto possono essere condensate in un test.
È noto a tutti che la misurabilità di un fenomeno deve richiedere condizioni e strumenti assolutamente affidabili, che tengano conto degli errori sistematici e casuali, cosa impossibile con i test INVALSI. Quest’anno, ad esempio, per le superiori le quinte che hanno svolto le prove le hanno in gran parte vissute come un accanimento terapeutico.
Non erano bastati i giorni di DAD, neanche l’aleatorietà della didattica mista, la sfiancante intermittenza delle aperture/chiusure della scuola (zona rossa, gialla, gialla forte, rossa tendente al rosa), non appena si è aperto uno spiraglio di continuità nella frequenza ecco che la macchina burocratico/valutativa si è messa in moto. Nel frattempo dal ministero arrivavano raccomandazioni sul non caricare gli alunni di verifiche e di praticare un approccio tale da riequilibrare gli scompensi creati dalla DAD. I docenti non dovevano testare, l’INVALSI sì.
Al contempo molti studenti delle medie, anche tra i più motivati, hanno mollato davanti ai questionari, poiché ininfluenti per il voto d’esame e, ugualmente ai diplomandi, hanno pensato «perché continuare a stressarsi?»
Ma cosa misura veramente l’Invalsi? Forse misura solo le sue misurazioni precedenti, per confermare che erano giuste
“Conoscere per deliberare”, ma deliberare cosa? Anni e anni di test non hanno modificato quasi nulla. Il tasso di abbandono scolastico continua ad essere in crescita, la forbice nord sud si allarga, il livello medio di conoscenze/competenze si abbassa. Continuiamo a misurare (in modo poco attendibile) per poter rimisurare, in modo da rilevare se le precedenti misurazioni ci hanno dato una buona misura di quello che andremo in futuro a misurare: ecco qua!