Senza Hermione, Harry Potter sarebbe morto al primo episodio

Ho un figlio undicenne e, da alcuni anni, mi tocca sorbirmi in Tv, ciclicamente, tutta la saga di Harry Potter. Almeno tre volte all’anno. E devo confessarvi che, più vedo le repliche, e più si rafforza in me un’impressione che ho avuto fin dalla prima volta, e cioè che, senza Hermione Granger, Harry Potter sarebbe morto nel primo episodio, seguito a ruota dal suo amico Ron Weasley. Come mai, allora, vorrei chiedere a J. K. Rowling, non è la streghetta la protagonista della storia?

Alcuni esempi

Impossibile elencare tutte le volte (sono davvero tante) in cui, nel corso della saga, Hermione salva i suoi amici Harry e Ron (spaesati o increduli), oppure trova la soluzione ad enigmi e situazioni ingarbugliate. In genere, intuendo per prima e con chiarezza le situazioni. Ricorderò, quindi, solo qualche episodio.

Nel primo anno, ad esempio, fu lei ad accorgersi che un enorme cane a tre teste era seduto su una botola segreta e a risolvere l’indovinello delle pozioni che permise ad Harry di proseguire verso la soluzione; nel secondo, invece, capì per prima che il Basilisco si muoveva attraverso le tubature e che non bisognava guardarlo dritto negli occhi. Fu sempre Hermione a trovare la formula della pozione polisucco e a realizzarla più volte in maniera fruttuosa, nel corso degli anni. E, grazie al suo Giratempo, lei e Harry riuscirono a tornare indietro nel tempo e a salvare Sirius e Fierobecco, nel terzo anno. In seguito, Hermione fondò l’Esercito di Silente per proteggere Hogwarts dalle interferenze del Ministero della Magia. E fu sempre lei, con una bugia, a sottrarre Harry alla maledizione Cruciatus inflittagli dalla Umbridge e, qualche anno dopo, a salvarlo dall’attacco mortale di Nagini. Nel settimo anno, fu lei a smaterializzare se stessa, Harry e Ron in più occasioni, per sfuggire ai mangiamorte. Così come a nasconderli a Voldemort, nella ricerca degli Horcrux, con potenti incantesimi.

E’ lei a intuire per prima pericoli e soluzioni, a salvare i suoi amici in più occasioni e a formare l’Esercito di Silente, mettendolo al servizio di Potter

Si potrebbe continuare citando molti altri episodi, ma sarebbe inutilmente noioso. Certo, in altri casi, sono Harry o Ron a salvare Hermione. Ma gli appassionati della saga ammetteranno come sia lei quella più sveglia, più brava e più determinante per la riuscita delle imprese del terzetto. Eppure, non era lei la predestinata a battere Voldemort, ma Harry Potter. Che in compenso, era uomo.

La sindrome di Amadeus

Ora la domanda che mi faccio da anni è: la Rowling è una maschilista convinta, una maschilista suo malgrado o ci prende in giro da anni?

Il presentatore Rai Amadeus

La prima ipotesi la escluderei per le idee espresse in più occasioni dalla scrittrice, come ad esempio quando difese la tennista Serena Williams da attacchi sessisti, e mi concentrerei sulla seconda, quella che definirei la sindrome di Amadeus, in riferimento alla gaffe che il povero presentatore fece a Sanremo, quando, parlando di una delle conduttrici che lo avrebbero affiancato sul palco dell’Ariston (la fidanzata del motocilista Valentino Rossi), sostenne di averla scelta «anche per la capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro».

Un passo indietro che, per raggiungere il successo, ha dovuto fare la stessa Rowling, che si chiama Joan, ma ha firmato i libri con lo pseudonimo J. K. Rowling, per dare l’impressione che l’autore fosse un uomo. Una scelta consigliata dall’editore, convinto che così si sarebbero vendute più copie. E forse tutti i torti non li aveva: sarebbe arduo dimostrare che i libri della saga avrebbero potuto avere maggior successo di quello ottenuto.

Ciò nonostante, scarterei anche l’ipotesi della maschilista suo malgrado.

La scrittrice J. K. Rowling

Allora verifichiamo la terza ipotesi, e cioè: la scrittrice inglese ci prende in giro da anni. È vero: ha camuffato il suo cognome per vendere più copie, e ha anche deciso che il protagonista della sua saga sarebbe stato un maschio, ma poi si è vendicata, facendo di tutto per farci capire, nel corso degli episodi della saga, che senza una donna – non importa se un passo avanti o indietro – gli uomini non sarebbero capaci nemmeno di trovare i propri calzini in un cassetto.

Se ci pensate, in fondo, il potere “più potente” di Hermione è l’intelligenza. Non gli incantesimi, nei quali pure eccelle, ma la sua capacità di capire prima degli altri cosa stia succedendo e di trovare soluzioni immediate. Harry ha la fede e la forza, certo, e la cocciutaggine che lo porta a vincere le sfide. Non è stupido, ma spesso agisce in maniera irrazionale, fa quel che non deve fare, si perde in maniera fumosa. Poi arriva Hermione, con la sua determinazione, e tutto gli appare chiaro. Non a caso, l’attrice che la impersona, Emma Watson, è diventata, crescendo, un’icona femminista, sempre in prima linea per difendere i diritti delle donne.

Ma nemmeno la terza ipotesi mi convince. Perché la Rowling non la definirei né maschilista, né femminista.

La vendetta di Hermione e Athos

È una quarta ipotesi, quella che mi piace di più: Hermione sta un passo indietro ad Harry non in quanto donna, ma in quanto vera protagonista della storia, che non ha bisogno di stare in primo piano per risaltare. Non sempre, infatti, gli scrittori amano i loro eroi, soprattutto quando sono perfetti e vincono sempre, anzi quando sono destinati a vincere, nonostante tutto. Il fastidio che cresce nei confronti di questi personaggi è tale che l’autore deve per forza affiancargliene un altro che ne smonti l’eroicità. L’esempio più lampante, in letteratura, sarebbe quello di Sancho Panza con Don Chisciotte. E lo stesso Watson potrebbe essere considerato il vero protagonista delle storie di Sherlock Holmes perché è lui che le racconta, come meglio crede, tanto che in un divertente adattamento cinematografico con Michael Caine e Ben Kingsley si scopre che Holmes è solo un attore ubriacone che interpreta un ruolo scritto da Watson, vero genio investigativo.

L’esempio che più mi piace, però, per definire il ruolo di Hermione Granger è quello di Athos che, sin da bambino, ho sempre ritenuto essere il vero protagonista de “I tre moschettieri”. Un’idea che si scontra con il senso comune. Basterebbe guardare uno dei tanti film tratti dal capolavoro di Dumas per rendersi conto che l’attore principale, quello più popolare e pagato, impersona sempre D’Artagnan. Il giovane guascone, se ci fate caso, ricorda molto Harry Potter: impulsivo, attaccabrighe, destinato a vincere. O, se preferite, incapace di perdere. Athos, invece, ha perso tutto già prima che la storia abbia inizio perché, nel passato, ha sposato una donna che poi si scoprirà essere la malefica Milady. È la sua vicenda personale, però, a dare profondità letteraria al racconto, che altrimenti rischierebbe di ridursi ad una piatta sequenza di duelli, avventure e gag. Inoltre, come Hermione, non c’è dubbio che Athos sia il più intelligente dei quattro amici.

Il vero protagonista de “I Tre moschettieri” è Athos, così come quello della saga di “Harry Potter” è Hermione perché entrambi i personaggi sono i più intelligenti e interessanti del gruppo

Gli eroi giovani e forti, però, piacciono a tutti. Anche a me stanno simpatici. Quindi, le storie devono averne uno. Ma agli scrittori che li inventano, non sempre questi eroi vanno a genio. Se il carismatico Athos è l’arma che ammazza la vuota eroicità narcisistica di D’Artagnan, quindi, la signorina Granger è quella che rende ridicola la primazia del predestinato Potter. Non perché è donna, come la Rowling, ma perché è intelligente, come dimostra anche il fatto che sarà l’unica dei tre maghi a tornare ad Hogwarts e a concludere gli studi.

Ed è, quindi, solo per questo banale motivo che, senza Hermione al suo fianco, Harry sarebbe morto e stramorto al primo episodio.

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